Tra gli ambiti della Musica Elettronica passibili di un numero pressoché infinito di variabili, certamente possiamo annoverare quello relativo ai sintetizzatori modulari, quegli affascinanti strumenti zeppi di connessioni, cavi e luci che da molti anni sono sempre più spesso presenti nei setup di musicisti elettronici di ogni tipo. I sintetizzatori modulari stanno vivendo un vero e proprio “rinascimento” e ci sembra dunque giusto dedicare un po’ di spazio/tempo a questa specialissima categoria di strumenti musicali, strumenti le cui possibilità di sound design sono pressoché infinite e si spingono ben oltre rispetto a qualsiasi altra tipologia di sintetizzatori.
Introduzione al mondo dei sintetizzatori modulari
Approcciarsi al mondo dei sintetizzatori modulari comporta alcune problematiche, specialmente per coloro che non sono propriamente addentro al mondo della sintesi del suono; è proprio a questa categoria di persone che le righe che seguono intendono rivolgersi.
In questo articolo, dal taglio più divulgativo che tecnico, vedremo alcuni dei possibili approcci che potremmo definire “ortodossi” e che, se volete entrare nell’infinito mondo dei sintetizzatori modulari, vi eviteranno (almeno lo speriamo) di incappare in quelle situazioni di difficoltà che -più spesso di quanto immaginiate- vivono molte persone le quali, senza essersi preventivamente documentate a dovere, decidono di “adottare” un sintetizzatore modulare.
Prima di proseguire è bene sapere che i sintetizzatori modulari richiedono passione, pazienza, dedizione, voglia di sperimentare e di studiare; questo è il prezzo da pagare per uno strumento che nasce e (soprattutto che crescerà!) secondo le vostre esigenze.
A proposito: dimenticatevi i preset: ogni suono che create con un sintetizzatore modulare è parte di un unico e irripetibile processo creativo; ciò è proprio uno degli aspetti più affascinanti di questi particolari strumenti musicali.
Ancora un paio di cose
- Questo articolo (come i prossimi che seguiranno) è esclusivamente dedicato al formato Eurorack, il più diffuso in assoluto (di fatto un quasi monopolio) che conta decine di aziende, centinaia (se non migliaia) di moduli e, aspetto da non sottovalutare, prezzi (anche) relativamente contenuti, perlomeno in certe fasce di prodotto.
- Gli strumenti di seguito menzionati sono tutti monofonici; in alcuni casi possono eseguire più note contemporaneamente grazie alla presenza di più oscillatori, ma si tratta comunque concettualmente di “mono synth” (la reale polifonia, nei sintetizzatori modulari, richiede moduli moduli appositi -tutti peraltro piuttosto recenti- o, più frequentemente, la presenza di multiple catene di sintesi).
Approccio 1: sintetizzatori semi modulari
Un sintetizzatore modulare, se non si connettono tra loro i moduli in modo corretto, semplicemente non suona…
Un semi modulare è una sorta di ibrido tra un modulare e un sintetizzatore “normale” (in quest’ultimo le interconnessioni tra i vari blocchi operativi sono fisse e non modificabili). Un semi modulare è formato da diversi moduli internamente connessi tra di loro in modo fisso (in termine tecnico si dice che le connessioni tra i moduli sono normalizzate), tuttavia ciascun modulo offre ingressi e uscite che permettono, mediante cavi patch, di riconfigurare lo strumento anche in modo completamente differente rispetto alle connessioni interne. In pratica, connettendo una uscita di un blocco (modulo) all’ingresso di un altro, quest’ultimo non riceverà più il segnale dalla connessione interna, ma da quella “nuova”, interrompendo dunque la normalizzazione. Detto così sembra poco, ma questo aspetto permette, anche con un limitato numero di connessioni esterne via cavo, di ottenere timbriche altrimenti impossibili con qualsiasi strumento ad architettura fissa.
Semi modulari in sottrattiva
In una ottica “East Cost” (per intenderci, la classica catena di sintesi Oscillatore -> Filtro -> Amplificatore tipica della sintesi sottrattiva), riporterò ora in democratico ordine alfabetico per Costruttore alcuni strumenti attualmente reperibili.
- Arturia MiniBrute 2 e 2S: il primo con tastiera di due ottave e il secondo con un potente sequencer (personalmente reputo il modello con sequencer molto più interessante), entrambi dotati di una ricca patchbay.
- Behringer Crave e Neutron: il primo è di fatto un clone del Moog Mother-32, synth mono oscillatore e con un sequencer di bordo; il secondo è un potente semi modulare con due oscillatori multi forma d’onda e una corposa patchbay di ingressi e uscite.
- Cre8audio East Beast: piccolo ma ottimo (ed economico) semi modulare dotato di arpeggiatore e sequencer e costruito in collaborazione col prestigioso marchio Pittsburgh Modular.
- Moog Mother-32 , Grandmother e Mavis: il primo è un vero “classico” dei semi modulari (abbiamo poco fa citato il suo clone); il secondo è un potente -per quanto essenziale- strumento con tastiera, arpeggiatore e sequencer i cui blocchi operativi sono derivati dai “grandi” moduli Moog (il Grandmother dispone anche di un vero riverbero a molla); il terzo è un kit (niente paura, si costruisce in 20 minuti senza saldature) che permette di avere il “Moog sound” con un budget contenuto (particolarità del Mavis è la presenza di un Wavefolder -per la prima volta presente in un Moog- raggiungibile solo attraverso le connessioni sul pannello).
- Roland System 1-m: strumento digitale che lavora in una efficace modalità di emulazione del mondo analogico (suona davvero bene, ve lo assicuro); a dispetto di un numero limitato di connessioni, funzionanti solo quando lo strumento -di fatto polifonico a 4 voci- opera in modo monofonico, questo sintetizzatore offre grandissime potenzialità timbriche grazie alle numerose forme d’onda e alla cross-modulation tra oscillatori, ed è l’unico tra gli strumenti in elenco che offre anche una completa sezione effetti (bitcrusher, riverbero e delay).
Semi modulari “West Coast oriented”
In una ottica meno “tradizionale”, tra i semi modulari mi sento di segnalarvi gli strumenti che seguono.
- Cre8audio West Pest: strumento piccolo “cugino” del menzionato East Beast ma orientato alla scuola californiana della West Coast.
- Make Noise O-Coast: un vero “classico” e, secondo il Costruttore, sintetizzatore “agnostico” (nel senso che non sposa né la filosofia East Coast, né quella West Coast); in verità il tipo di oscillatore e la presenza di altri particolari circuiti fa propendere lo strumento decisamente verso la scuola West Coast.
- Pittsburgh Modular Taiga: potente semi modulare che rappresenta forse la perfetta fusione tra i due approcci East Coast e West Coast; tre oscillatori e una ricca dotazione di moduli ne fanno uno strumento davvero versatile e dalle vaste possibilità timbriche.
Anche se non direttamente relazionato alla scuola West Coast non posso chiudere questo capitolo senza menzionare l’ARP 2600 (e i relativi cloni Behringer): il 2600 è un sintetizzatore semi modulare leggendario, una vera “università” per la sintesi sottrattiva (e non solo) la cui descrizione porterebbe via più dello spazio che ho a disposizione. Non è un synth propriamente semplice, ma è uno strumento certamente da tenere tutta la vita (a proposito, un ARP 2600 è appena entrato a far parte della dotazione di 4cmp Academy!).
Tutti gli strumenti sopra menzionati sono perfettamente compatibili con le specifiche Eurorack e possono dunque essere integrati in qualsiasi sistema modulare, indipendentemente dalle sue dimensioni.
Approccio 2: un sistema completo “mono-marca”
Un sistema “mono-marca”, costituito da un alloggiamento e da moduli dello stesso Produttore, è una soluzione ideale per chi vuole entrare in questo variegato mondo e vuole farlo con un modulare “vero”. Il mercato offre diverse soluzioni anche “esoteriche”, tuttavia, in una ottica rivolta a chi si accosta per la prima volta ai modulari, personalmente mi sento di indirizzarvi verso strumenti che hanno un approccio alla sintesi ragionevolmente tradizionale (per intenderci, sintesi sottrattiva e dintorni) e che, soprattutto, hanno un costo abbordabile.
Behringer
La Behringer offre alcune “robuste” soluzioni pronte all’uso: i System 15/35/55, rispettivamente tre versioni di dimensione crescente di cloni dei “grande” Moog Modular, il cui assortimento di moduli rispecchia quello dei modelli originali caratterizzati dalle medesime sigle. Con i cloni Moog di Behringer siano di fronte a strumenti in sottrattiva potenti, con un certo quantitativo di moduli (già il più piccolo offre tre oscillatori) e la presenza di alcune “chicche” come ad esempio il Fixed Filter Bank.
Presso alcuni rivenditori è possibile reperire un set Behringer (System 100 Bundle) composto da un case e da cinque moduli (più un modulo per l’alimentazione del sistema) che si ispira al Roland System 100 e mette a disposizione una doppia catena di sintesi sottrattiva assolutamente tradizionale. Per essere precisi il Roland System 100 originale era un semi modulare, il set di moduli Behringer invece è un “full modular” che richiede necessariamente il collegamento tra i moduli via cavi patch.
Doepfer
Il marchio tedesco Doepfer (ricordo che fu proprio l’Ing. Dieter Doepfer, fondatore della omonima azienda, a creare negli anni ‘90 il formato Eurorack, formato che di fatto ha segnato la rinascita dei modulari) offre numerosi sistemi ideali per chi inizia, sistemi costituiti da assortimenti più o meno ricchi di moduli e configurazioni che in alcuni casi si spingono anche oltre la classica sottrattiva (sempre comunque punto centrale). Qualsiasi sistema Doepfer rappresenta, a parere chi di scrive, l’ingresso ideale nell’universo dei modulari, sia per la elevata qualità costruttiva di moduli e alloggiamenti, sia per il prestigio che il marchio Doepfer porta con sé.
Mi permetto una considerazione personale. Certamente i “modularisti puri” non vedranno di buon occhio il fatto che nell’articolo siano menzionati prodotti Behringer, e questo varie ragioni -più o meno condivisibili- che non è il caso di trattare in questa sede. In una ottica di divulgazione non potevo non menzionare questo marchio: è innegabile che Behringer abbia reso abbordabili strumenti (e moduli) precedentemente acquistabili solo con budget molto elevati, e dunque fuori portata per la maggior parte degli studenti, pubblico al quale il sottoscritto prevalentemente si rivolge.
Approccio 3: un set di moduli base
Sicuramente questo terzo approccio è il più problematico per diversi motivi; ne riporto solo tre giusto per dare una idea.
- Occorre avere le idee chiare rispetto a ciò che si vuole ad esempio: si desidera uno strumento completo o solo un set di moduli da affiancare ad un parco synth già esistente?
- Si punta ad uno strumento rivolto ad un determinato tipo di sintesi o a qualcosa di particolare?
- Il mercato offre centinaia (se non migliaia) di moduli, come si fa dunque ad orientarsi?
Il case
Problematiche a parte, per partire “da zero” occorre innanzitutto un alloggiamento (detto case) che offra sufficiente spazio e una solida alimentazione. La questione alloggiamento è di vitale importanza, il mio consiglio è di acquistare un case leggermente sovradimensionato rispetto al set di moduli iniziale. L’esperienza ci insegna che l’appetito vien mangiando e la voglia di espandere il proprio sintetizzatore modulare arriva prima di quanto si possa immaginare.
Set di moduli iniziale
Sul set di moduli iniziale, le variabili in gioco sono talmente tante che si potrebbe scrivere per settimane e mancherebbe sempre qualcosa (vedi terzo problema sopra esposto…).
Se si vuole stare nella classica sintesi sottrattiva occorrerà munirsi (almeno) di:
- Un oscillatore (o anche un paio)
- Un filtro
- Un VCA (Voltage Controlled Amplifier)
- Un generatore di inviluppo
- Un LFO (Low Frequency Oscillator)
- Un generatore di rumore (se lo si desidera)
- Un mixer (nel caso di multiple sorgenti; ad esempio più oscillatori e generatore di rumore)
Indispensabili dei moduli Multiple (si tratta di duplicatori di segnali, in un sistema piccolo ne può bastare uno) e, naturalmente, un set di cavi patch per connettere i moduli.
Volete/dovete utilizzare il MIDI? Se sì andate al prossimo capitolo.
Nel caso vogliate costruirvi un modulare “speciale”, magari incentrato su tecniche di sintesi particolari, la questione non è certamente per chi inizia e neppure trattabile in breve spazio; la rete comunque offre moltissime informazioni: basta saperle cercare e soprattutto saperle selezionare.
Concludo questa parte con un ultimo appunto: il nostro “Modular Journey”, volendo, potrebbe iniziare anche con un solo modulo tipo Synth Voice, un modulo che di per sé è già uno strumento. Vi sono moduli che sono sintetizzatori in sottrattiva completi (ad esempio i Doepfer A-111-5 e A-111-6) e altri che mettono a disposizione diversi tipi di sintesi anche non tradizionali; uno su tutti il Macro Oscillator Plaits di Mutable Instruments, non più prodotto ma vero e proprio modulo “cult” che, grazie al codice Open Source, vanta diversi cloni in commercio anche di basso costo (ne cito due: After Later Audio Pixie e Behringer Brains).
MIDI o non MIDI?
Va chiarita subito una cosa: la “lingua madre” dei sintetizzatori modulari, indipendentemente dalla tipologia di moduli che possono essere analogici, digitali o “ibridi”, non è il MIDI (di fatto digitale) ma “solo” tensione elettrica (in Volt), dunque un segnale analogico.
Premesso questo, il Protocollo MIDI si integra perfettamente in qualsiasi sistema modulare grazie ad appositi moduli che convertono i messaggi MIDI in segnali elettrici (sui quali torneremo a parlare estensivamente in uno dei prossimi articoli). Questi segnali elettrici assumono varie connotazioni e voltaggi a seconda del loro scopo: controllo dell’intonazione degli oscillatori, attivazione dei generatori di inviluppo, sincronizzazione, eccetera.
Tutti i sintetizzatori semi modulari citati in questo articolo (ad eccezione del Moog Mavis) possono essere connessi direttamente a strumentazione MIDI. Un modulare “vero”, invece, richiede la presenza di un modulo (la cui presenza o meno è una scelta dell’utente) che converte il MIDI in tensione elettrica.
A tal proposito va ricordato che in commercio vi sono moltissimi dispositivi (Master Keyboard o Sequencer) in grado di generare i segnali elettrici necessari per gestire un sintetizzatore modulare (le gamme KeyStep o BeatStep di Arturia o i Sequencer Korg SQ-1 e SQ-64 sono classici e diffusissimi esempi).
Un consiglio finale
Se ci si appassiona ai sintetizzatori modulari si corre seriamente il rischio di essere travolti dalla cosiddetta GAS (Gear Acquisition Syndrome): la necessità di riempire gli spazi vuoti del proprio case e/o di “possedere” un numero sempre maggiore di moduli, con incidenze devastanti sul portafoglio, è davvero dietro l’angolo.
Il mio consiglio è quello di partire con un sistema piccolo (o con un semi modulare) e di ingrandirlo a mano a mano che si siano esplorate tutte o quasi le sue possibilità, aggiungendo moduli poco a poco, e soprattutto aggiungendo moduli che effettivamente servano ad aumentare il potenziale creativo e musicale del nostro strumento in relazione ai generi musicali praticati (la scelta di moduli nel formato Eurorack è semplicemente enorme).
In un noto negozio di sintetizzatori modulari di Berlino nel quale mi reco tutti gli anni c’è un cartello che recita più o meno così: “ho deciso di costruirmi un sintetizzatore modulare e ho impiegato sei anni per scegliere il mio primo modulo”. Bene: una via di mezzo tra la GAS e l’approccio “prudente” dell’autore del cartello probabilmente è la via migliore per entrare in questo affascinante universo dal quale, una volta entrati, difficilmente uscirete.
Concludo con un suggerimento: guardate il film/documentario “I Dream of Wires” (reperibile anche in DVD e Blu-ray): è un bellissimo viaggio che parla della nascita, del tramonto e del nuovo rinascimento (che stiamo tutt’ora vivendo) dei sintetizzatori modulari.